SISET ONLINE n° 2/2022
LINEE GUIDA ISTH E SIE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA
DELLA PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA ACUTA: HIGHLIGHTS
Ilaria Mancini, Pasquale Agosti, Flora Peyvandi
(Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Angelo Bianchi Bonomi Hemophilia and Thrombosis Center, Università degli Studi di Milano, Department of Pathophysiology and Transplantation and Fondazione Luigi Villa, Milan, Italy)
La porpora trombotica trombocitopenica (PTT) è una rara microangiopatia trombotica descritta per la prima volta dal Dottor Moschocowitz negli anni ’20, caratterizzata da esordio acuto ed elevata mortalità (80-90%), se non riconosciuta e adeguatamente trattata [1]. Come le altre microangiopatie trombotiche, la PTT è caratterizzata da compresenza di anemia emolitica microangiopatica, piastrinopenia da consumo e trombosi del microcircolo, con conseguente sofferenza ischemica a carico di organi vitali quali encefalo, cuore e rene. La PTT ha un’incidenza annuale stimata di 2-6 casi per milione di individui e si manifesta generalmente tra i 30 ed i 50 anni di età. Il sesso femminile è il più colpito (con un rapporto di 2-3 a 1), sia per la maggior prevalenza nel genere femminile di autoimmunità sia perché la gravidanza è un’importante fattore di rischio dell’insorgenza di un episodio acuto di PTT. La PTT si può manifestare come un singolo evento acuto o come una malattia ad andamento ricorrente. Fino al 30-50% dei pazienti presenta una o più recidive acute di malattia, ancora oggi largamente imprevedibili [2,3]. Oltre al rischio di ricaduta, i pazienti che sopravvivono a un episodio acuto di PTT devono anche affrontare un rischio aumentato, rispetto alla popolazione generale di pari età, di diverse comorbidità come la comparsa di deficit neurocognitivi, l’ipertensione arteriosa e la sindrome ansioso-depressiva, tra le più descritte [4]. La rarità della PTT, nonché l’eterogeneità e la presenza di manifestazioni cliniche comuni tra la PTT e le diverse microangiopatie trombotiche hanno da sempre contribuito a renderne difficile la diagnosi differenziale. Si è dovuto attendere la fine del secolo scorso perché fosse identificato il biomarcatore che gioca un ruolo chiave nell’eziologia di questa malattia e nella sua conferma diagnostica. Tale biomarcatore è ADAMTS13 (a disintegrin metalloproteinase with thrombospondin type 1 motif 13), la metalloproteasi responsabile del taglio dei multimeri del fattore di von Willebrand. La carenza grave di ADAMTS13 causa l’accumulo dei multimeri cosiddetti ultra-large del fattore di von Willebrand nel circolo sanguigno, i quali, grazie alla loro maggiore efficienza nel legare le piastrine in condizioni di alto shear, favoriscono la formazione di trombi ricchi in piastrine a livello del microcircolo. A seconda dell’origine della carenza grave di ADAMTS13, definita come livelli di attività minori di 10 UI/dl o 10% del normale, la malattia viene classificata in due forme: la PTT congenita, una malattia ereditaria autosomica recessiva dovuta a mutazioni nel gene ADAMTS13 sul cromosoma 9q34, e la PTT acquisita immuno-mediata, una malattia autoimmune causata dallo sviluppo di autoanticorpi che inibiscono l’attività di ADAMTS13 e/o ne aumentano la clearance dalla circolazione [1]. La scoperta di ADAMTS13 ha portato ad un proliferare di saggi di laboratorio per la determinazione della sua attività e degli anticorpi anti-ADAMTS13, test che però ancora oggi sono di pertinenza di un numero limitato di centri a causa di limitazioni metodologiche e non che ne impediscono la diffusione su larga scala [5]. L’identificazione di una o dell’altra forma di PTT si basa dunque sulla misurazione dell’attività enzimatica di ADAMTS13 e del suo autoanticorpo. In presenza di attività di ADAMTS13 minore di 10 UI/dl, la presenza di anticorpi anti-ADAMTS13 conferma la diagnosi di PTT immuno-mediata, mentre la loro assenza suggerisce una diagnosi di PTT congenita, che si può confermare definitivamente solo con l’analisi molecolare del gene ADAMTS13 [1,5]. Ne consegue il razionale della terapia cardine della PTT acuta: una combinazione di plasmaferesi e terapia immunosoppressiva nella forma immuno-mediata, con l’obiettivo di ripristinare livelli sufficienti di attività plasmatica di ADAMTS13 e rimuovere gli autoanticorpi e i multimeri ultra-large del fattore di von Willebrand (plasmaferesi) e sopprimere la deregolata risposta autoimmune (immunosoppressione), e la sola infusione di plasma nella PTT congenita, per somministrare la proteasi carente. Tuttavia, tale schema di trattamento non abbatte completamente né la mortalità, che si attesta intorno al 10%, né le complicanze a breve (es., refrattarietà alla terapia, complicanze tromboemboliche, esacerbazione dell’evento acuto) e lungo termine (es., deficit neurocognitivi) della PTT acuta [2,4]. Un fondamentale passo avanti in questo senso si è avuto con l’avvento del primo vero farmaco mirato per la PTT acuta, il caplacizumab, un nanobody bivalente umanizzato anti-fattore di von Willebrand che ha ricevuto l'approvazione da parte dell'EMA e della FDA per il trattamento della PTT acquisita negli adulti rispettivamente a settembre 2018 e febbraio 2019 (più recentemente anche negli adolescenti di età superiore ai 12 anni) [6,7]. Caplacizumab si lega al dominio A1 del fattore di von Willebrand e ne inibisce l'interazione con il recettore della glicoproteina Ib-IX-V piastrinica, prevenendo la trombosi microvascolare. In studi clinici randomizzati controllati di fase II e III, caplacizumab si è dimostrato efficace nel trattare eventi acuti di PTT immuno mediata, riducendo significativamente il tempo alla risposta alla conta piastrinica (di 1,65 volte secondo l'analisi integrata degli studi di fase II e III [8]), riducendo la refrattarietà alla terapia, la mortalità, l'esacerbazione e gli eventi tromboembolici maggiori (del 73% come risultato composito) e accelerando la normalizzazione dei marcatori di danno d'organo, rispetto al placebo. Caplacizumab ha dimostrato un profilo di sicurezza e tollerabilità favorevole, con un aumento in particolare delle complicanze emorragiche mucocutanee, ma clinicamente gestibili [6-8]. Rispetto al placebo, infine, caplacizumab ha dimostrato una notevole riduzione della necessità di plasmaferesi (33%) e della durata della degenza ospedaliera, anche in unità di terapia intensiva, con conseguenti benefici rilevanti in termini di economia sanitaria [7,8]. La suddetta premessa è funzionale a comprendere le motivazioni che hanno spinto la Società Internazionale di Emostasi e Trombosi (ISTH) a promuovere la stesura di nuove linee guida internazionali per la diagnosi ed il trattamento della PTT: la rilevanza clinica della patologia, considerando che la PTT è una emergenza medica che colpisce prevalentemente soggetti giovani e necessita diagnosi e cure tempestive; l’arrivo sul mercato di caplacizumab, un farmaco nuovo dalla gestione complessa; una generale eterogeneità diagnostica e terapeutica, non solo a causa della rarità della malattia ma anche della multidisciplinarità della sua presentazione clinica (potenzialmente di competenza di neurologi, nefrologi, ginecologi, internisti, trasfusionisti nonché ovviamente ematologi). A queste si aggiungono le motivazioni di tipo socio-economico (es., costo delle procedure aferetiche e dei farmaci impiegati, equità di accesso alle cure ecc.). La nuova linea guida ISTH per la diagnosi [9] e la terapia della PTT [10] è stata sviluppata seguendo il metodo GRADE, acronimo per Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation, un approccio che consente di valutare la qualità delle evidenze e formulare la forza delle raccomandazioni in modo sistematico, trasparente e completo (https://www.gradeworkinggroup.org/, ultimo accesso 11/01/2022). Un’estensione di questa metodologia, il GRADE-ADOLOPMENT, è stato utilizzato dalla Società Italiana di Ematologia (SIE) per adattare la linea guida ISTH alla realtà italiana [11]. Il metodo GRADE si basa sulla formulazione di specifiche domande PICO (Population Intervention Comparison Outcome), le cui risposte vengono elaborate nelle raccomandazioni a fronte di una revisione sistematica e valutazione della qualità delle evidenze disponibili non solo di efficacia e sicurezza ma anche sotto il profilo sociale, economico ed organizzativo (es., preferenze del paziente, disponibilità delle risorse, praticabilità dell’intervento). La forza delle raccomandazioni viene espressa come forte (“il panel raccomanda…”) o condizionale (“il panel suggerisce…”, dove la prima indica che il panel giudica i benefici dell’intervento in oggetto chiaramente maggiori dei rischi o viceversa, mentre la seconda indica che il panel ritiene i benefici probabilmente maggiori dei rischi (o viceversa), ma in un contesto di generale bilanciamento o incertezza di benefici e rischi. Le nuove linee guida ISTH per la PTT si articolano in due parti: la prima fornisce le raccomandazioni sugli step diagnostici necessari in caso di un sospetto primo episodio acuto di PTT e sul conseguente approccio terapeutico ottimale; la seconda fornisce le raccomandazioni per il trattamento della PTT acquisita e congenita in fase acuta e remissione e nella donna in gravidanza. A corollario della linea guida, è stato pubblicato un documento che raccoglie ulteriori indicazioni di pratica clinica non basate su una revisione sistematica delle evidenze, ma sull’esperienza del panel di esperti [12]. In questo articolo ci occuperemo di riassumere le raccomandazioni relative alla diagnosi e trattamento della PTT acuta. La linea guida per la diagnosi della PTT si applica al paziente che si presenti con un quadro clinico e laboratoristico di microangiopatia trombotica suggestivo di PTT, quindi con trombocitopenia da consumo (conta piastrinica al di sotto del limite inferiore dell'intervallo di riferimento e più tipicamente inferiore a 30 × 109/l) ed anemia emolitica microangiopatica ( emoglobina ed ematocrito al di sotto del limite inferiore dell'intervallo di riferimento, aptoglobina bassa, lattato deidrogenasi elevata, presenza di schistociti nello striscio di sangue periferico), non spiegate da altre cause, con una funzionalità renale relativamente preservata. La linea guida ISTH pone l’accento sull’importanza dei test ADAMTS13 (attività e autoanticorpi anti ADAMTS13), enfatizzando come modelli formali di valutazione del rischio clinico, quali il French score ed il PLASMIC score, possano essere utili nella valutazione clinica del paziente ma non possano né debbano rimpiazzare i test ADAMTS13, che anzi si auspica siano sempre più prontamente disponibili ai clinici alle prese con una diagnosi differenziale di microangiopatia trombotica. Nella linea guida italiana SIE peraltro si evidenzia come una meta-analisi del 2020 abbia dimostrato che un PLASMIC score maggiore o uguale a 5 predica livelli di attività di ADAMTS13 minori di 10 UI/dl con elevati sensibilità e valore predittivo negativo (99% e 97-100% quando la prevalenza è ≤70%, rispettivamente) ma bassa specificità e valore predittivo positivo (57% e 21-85% quando la prevalenza è ≤70%, rispettivamente), rendendo tale score uno strumento utile a escludere la PTT, ma insufficiente a confermarne la diagnosi. La strategia diagnostica e di inizio trattamento suggerita dalla linea guida ISTH e ripresa dalla SIE è duplice a seconda che la probabilità clinica pre-test di PTT sia stata valutata come alta o meno. In entrambi gli algoritmi, si raccomanda come primo step di eseguire un prelievo ematico per il dosaggio dell’attività di ADAMTS13 e del suo anticorpo prima che venga iniziata la terapia con plasma o con altri emoderivati. Si raccomanda inoltre che il dosaggio di ADAMTS13 avvenga nel minor tempo possibile presso un laboratorio qualificato, ma altresì di non attenderne l’esito prima di iniziare la terapia, visti i tempi spesso incompatibili con l’urgenza clinica dettata da un sospetto acuto di PTT. Nello scenario in cui la probabilità pre-test di PTT acuta sia elevata, le linee guida raccomandano di avviare quanto più tempestivamente, entro le 24 ore, la plasmaferesi e la somministrazione di corticosteroidi, considerando l’aggiunta di caplacizumab ancor prima di conoscere i risultati dei test ADAMTS13, ma solo nei centri in grado di avere la disponibilità dei risultati dell’attività ADAMTS13 entro una settimana dalla diagnosi presuntiva di PTT (possibilmente entro 72 ore). Quando tali risultati si rendono disponibili, caplacizumab può essere continuato se l’attività di ADAMTS13 è minore di 10 UI/dl ed il sospetto clinico di PTT viene quindi confermato. La linea guida ISTH suggerisce di considerare anche l’aggiunta di rituximab per i pazienti con carenza grave di ADAMTS13. Se invece l’attività di ADAMTS13 è maggiore di 20 UI/dl, la somministrazione di caplacizumab va interrotta e vanno considerate diagnosi alternative. La linea guida ISTH raccomanda di ricercare diagnosi alternative e basare il trattamento sul giudizio clinico anche quando si ottengono livelli di ADAMTS13 borderline tra le 10 e le 20 UI/dl. Nello scenario in cui, invece, la probabilità pre-test di PTT sia stata giudicata dal clinico come non elevata, si raccomanda di considerare l’avvio di plasmaferesi e corticosteroidi, ma non di caplacizumab o rituximab, il cui inizio è eventualmente ritardato all’acquisizione del risultato del test ADAMTS13, laddove dimostri un’attività inferiore al 10 UI/dl. In contesti caratterizzati dalla totale indisponibilità di eseguire i test ADAMTS13, si raccomanda di iniziare plasmaferesi e corticosteroidi il prima possibile o di valutarne l’utilizzo a seconda che il sospetto clinico di PTT sia elevato o meno, ma di non utilizzare caplacizumab, a prescindere dalla probabilità clinica di malattia. In questi contesti, la linea guida ISTH suggerisce di considerare rituximab solo nei casi di elevato sospetto di PTT. Nonostante non siano mai stati effettuati degli studi clinici randomizzati sull’uso dei corticosteroidi nella PTT acuta e le evidenze disponibili sull’argomento siano in generale di qualità molto bassa, le linee guida ISTH e SIE hanno espresso una raccomandazione forte a favore della loro somministrazione in aggiunta alla plasmaferesi sia per un primo evento di PTT che per una recidiva, visto il potenziale beneficio nella riduzione della mortalità a fronte di effetti collaterali generalmente non gravi (raccomandazioni n. 1 e 2). L’indicazione di buona pratica clinica è di continuare la terapia corticosteroidea a dosaggio pieno dopo la sospensione delle plasmaferesi fino all’ottenimento di un dosaggio di attività ADAMTS13 del 20-30%, per poi ridurre fino a completa sospensione in massimo 3 settimane. Le linee guida ISTH e SIE differiscono per quanto riguarda le raccomandazioni circa l’avvio di rituximab in acuto, in quanto in Italia questo farmaco è attualmente autorizzato da AIFA per il solo trattamento della PTT refrattaria o recidivante (https://www.aifa.gov.it/legge-648-96). La linea guida ISTH suggerisce l’aggiunta di rituximab sia per un primo evento che per una recidiva (raccomandazioni n. 2 e 4), una raccomandazione condizionale in un contesto di qualità delle evidenze molto bassa (non vi sono studi clinici randomizzati controllati e l’effetto principale del rituximab pare essere la prevenzione delle recidive, che non tutti i pazienti sviluppano). La linea guida SIE non ha incluso il quesito relativo all’uso del rituximab in un primo evento acuto per le motivazioni di cui sopra (anche se raccomanda di considerarne l’aggiunta in caso di refrattarietà al trattamento) ed ha invece espresso una raccomandazione forte a favore dell’aggiunta di rituximab per il trattamento di una recidiva di PTT. Questo giustificato dal fatto che i pazienti recidivati costituiscono una popolazione selezionata ad alto rischio di ulteriori recidive e che tali pazienti trattati in Italia non hanno potuto beneficiare dell’effetto protettivo del rituximab sulle ricadute dopo il primo episodio. L’indicazione di iniziare la somministrazione di caplacizumab anche in attesa dei risultati di ADAMTS13, dalla cui disponibilità comunque non può prescindere, è legata al carattere emergenziale del farmaco. Caplacizumab infatti, per suo meccanismo d’azione, protegge dalla microtrombosi riducendo il rischio di ischemie d’organo tipico della PTT acuta e conferendo maggiore beneficio nelle fasi precoci dell’evento acuto. Caplacizumab non risolve la causa della malattia, ovvero la risposta autoimmune contro ADAMTS13 e la conseguente carenza dell’enzima, per cui necessita di essere affiancato ad una terapia immunosoppressiva volta a contrastare la causa sottostante dell’acuzie. L’interruzione precoce di caplacizumab può infatti causare un’esacerbazione della malattia laddove ADAMTS13 sia ancora carente. Pertanto, la linea guida SIE suggerisce di sospendere il farmaco quando i livelli di ADAMTS13, monitorati settimanalmente, superano il 20% per 2 settimane consecutive (dopo i 30 giorni di trattamento dall’ultima plasmaferesi). Essendo un farmaco nuovo e d’utilizzo complesso, le linee guida ne raccomandano l’uso sotto la guida di clinici esperti. Questo aspetto, la necessaria disponibilità di test ADAMTS13 rapidi ed affidabili ed il costo elevato ne limitano attualmente l’accessibilità e la diffusione in varie parti del mondo (in Italia ai centri che trattano un maggior numero di pazienti con PTT acquisita). Da qui deriva la raccomandazione condizionale, seppur basata su evidenze di certezza moderata. In conclusione le linee guida ISTH sanciscono il passaggio ad un nuovo triplice paradigma terapeutico della PTT acquisita, in cui caplacizumab si affianca alla combinazione di plasmaferesi e terapia immunosoppressiva. I test ADAMTS13 non sono solo fondamentali per una corretta diagnosi differenziale delle microangiopatie trombotiche, ma anche per intraprendere, continuare e infine sospendere la terapia più appropriata. References 1. Sukumar S, Lämmle B, Cataland SR. Thrombotic Thrombocytopenic Purpura: Pathophysiology, Diagnosis, and Management. 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