SISET ONLINE n° 01/2024
Efficacia e sicurezza della terapia antitrombotica nel paziente con trombosi venosa splancnica
Emanuele Valeriani1,2, Daniele Pastori3, Pasquale Pignatelli3
(1Dipartimento di Chirurgia generale e specialistica, Sapienza Università di Roma 2Reparto di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I, Roma 3Dipartimento di Scienze Cliniche, Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari, Sapienza Università di Roma;)
Introduzione La trombosi venosa splancnica è una trombosi venosa in sede atipica comprendente la trombosi venosa portale, mesenterica, splenica e la sindrome di Budd-Chiari.1-5 La trombosi venosa splancnica è una patologia relativamente rara con valori di incidenza di 3,8/100000 individui per la trombosi venosa portale, 0,7-2,7/100000 individui per la trombosi della vena mesenterica e 0,5-1/1000000 individui per la sindrome di Budd-Chiari, circa un terzo dei casi viene diagnosticato incidentalmente durante l’esecuzione di indagini radiologiche eseguite per altri motivi ed i principali fattori di rischio per il suo sviluppo sono la cirrosi epatica, le neoplasie solide e le malattie mieloproliferative.1,6,7 Nonostante le evidenze scientifiche disponibili riguardanti l’efficacia e la sicurezza della terapia anticoagulante nel paziente con trombosi venosa splancnica stiano aumentando, la maggior parte delle scelte terapeutiche (quale anticoagulante scegliere, quando iniziare la terapia anticoagulante e per quanto tempo continuarla) rimangono ancora difficoltose.1 Una volta diagnostica, è di fondamentale importanza cercare di identificare la data di insorgenza della trombosi stessa sulla base dei sintomi, dei segni clinici e delle immagini radiologiche disponibili. La gestione terapeutica dei pazienti con una trombosi venosa splancnica acuta/recente (entro i 6 mesi dal suo sviluppo) è differente rispetto a quella di una trombosi venosa splancnica cronica (oltre i 6 mesi dal suo sviluppo).8 Nei pazienti con trombosi venosa splancnica acuta/recente, infatti, la terapia anticoagulante ha lo scopo di ridurre il rischio di progressione e recidiva della trombosi e di sanguinamento gastro-intestinale conseguente all’incremento della pressione venosa splancnica, e di aumentare il tasso di ricanalizzazione.8 Nei pazienti con trombosi venosa splancnica cronica, invece, la probabilità di ricanalizzazione è molto minore e l’obiettivo principale della terapia anticoagulante è quello di ridurre il rischio di recidiva della trombosi, soprattutto nei pazienti con fattori di rischio trombotici persistenti.8 Efficacia e sicurezza della terapia anticoagulante La maggior parte degli studi ad oggi a disposizione sull’efficacia e la sicurezza della terapia anticoagulante riguardano i pazienti con trombosi venosa splancnica acuta o recente secondaria alla presenza di cirrosi epatica.1 La somministrazione di dosi terapeutiche (1 mg/kg due volte al giorno) o intermedie (1.5 mg/kg al giorno) di enoxaparina per un totale di 6 mesi ha garantito la ricanalizzazione in circa l’80% dei pazienti, un basso tasso di progressione della trombosi e non ha causato nessun sanguinamento maggiore in un recente studio randomizzato su 65 pazienti con cirrosi epatica HBV-relata.9 In modo similare, il trattamento con nadroparina-warfarin per 6 mesi si è dimostrato, rispetto al placebo, ugualmente sicuro e più efficace in termini di ricanalizzazione (62.5% vs 34.4%) e progressione della trombosi (15.6% vs 40.6%) in 64 pazienti con cirrosi epatica.10 Uno studio randomizzato è disponibile anche per gli anticoagulanti orali diretti in cui 111 pazienti non cirrotici con trombosi venosa splancnica cronica hanno ricevuto rivaroxaban (15 mg al giorno) o placebo. In seguito all’alto tasso di eventi trombotici nel gruppo controllo evidenziato all’interim analisi, tutti i pazienti sono stati spostati nel gruppo di trattamento.11 Anche se gli anticoagulanti orali diretti presentano dei vantaggi gestionali rispetto agli altri anticoagulanti, il loro utilizzo è ancora considerato off-label nella trombosi venosa splancnica e deve essere attentamente valutato soprattutto nei casi con malassorbimento o ischemia intestinale e cirrosi epatica, situazioni possibilmente presenti in tale contesto clinico. La numerosità campionaria dello studio randomizzato sopra citato, così come la valutazione della qualità e la possibile presenza di ulteriori fattori confondenti rendono difficoltosa l’interpretazione dei risultati che dovranno essere confermati in studi futuri condotti su coorti più grandi.8 Comunque, i dati derivanti dagli studi osservazionali ad oggi a disposizione sembrerebbero confermare quelli degli studi randomizzati anche nei pazienti con fattori di rischio per trombosi venosa splancnica diversi dalla cirrosi epatica (neoplasia solida o malattie mieloproliferative croniche) o con particolari presentazioni cliniche (trombosi venosa incidentale).1,12 Una precisazione è necessaria per i pazienti con sindrome di Budd-Chiari nei quali i dati sono ancora molto scarsi e per i quali l’utilizzo di una strategia terapeutica graduale comprendente la terapia anticoagulante e l’utilizzo di procedure interventistiche nei casi di mancata risposta clinica o laboratoristica sembrerebbe garantire un tasso di sopravvivenza al follow-up più elevato rispetto alla sola terapia anticoagulante.13 Quando iniziare la terapia anticoagulante Mentre la necessità della terapia anticoagulante è supportata da un numero crescente di evidenze scientifiche, la decisione sulla tempistica della sua somministrazione rimane ancora difficoltosa e spesso guidata dal giudizio clinico e dalle caratteristiche specifiche del paziente che deve essere trattato. La somministrazione precoce (entro 14 giorni dalla diagnosi) della terapia anticoagulante sembrerebbe essere associata ad un maggior tasso di ricanalizzazione venosa in uno studio retrospettivo su 55 pazienti con cirrosi epatica e trombosi venosa splancnica acuta o ricorrente.14 I risultati di un ulteriore studio retrospettivo sembrerebbero essere, invece, contrastanti anche se, all’interno del lavoro non è stato riportato lo stadio della trombosi e circa la metà dei pazienti inclusi aveva sospeso prematuramente la terapia anticoagulante.15 La possibile o reale presenza di varici gastro-esofagee e l’assenza di una adeguata profilassi per la loro rottura può creare qualche dubbio sulla sicurezza di una precoce somministrazione della terapia anticoagulante. Dati recenti sembrerebbero mostrare, con i limiti intrinseci al disegno retrospettivo dello studio stesso, che la somministrazione di eparina a basso peso molecolare non aumenti il rischio di sanguinamento (3,8% vs 1,6%; hazard ratio 1,7, intervalli di confidenza al 95% 0,2 – 21,2) e di mortalità (2,5% vs 2,2%; hazard ratio 0,9, intervalli di confidenza al 95% 0,1 – 16,6) post procedurale.16 Il tasso di sanguinamento post procedurale riportato in uno studio retrospettivo più recente è un po' più alto (9%) anche se circa un terzo dei pazienti stavano ricevendo antagonisti della vitamina K al momento della procedura e le informazioni specifiche riguardo la tipologia e il dosaggio della terapia anticoagulante somministrata al momento del sanguinamento non sono state riportate nel dettaglio.17 Alcuni esperti, anche sulla base delle poche evidenze disponibili, hanno suggerito di iniziare il trattamento per la trombosi venosa splancnica con dosi ridotte (profilattiche o intermedie) di eparina a basso peso molecolare entro 14 giorni dalla diagnosi in assenza di un sanguinamento attivo o di altre controindicazioni.18 Il dosaggio dell’eparina a basso peso molecolare può essere aumentato o un anticoagulante orale può essere iniziato dopo aver ottenuto una adeguata profilassi per il sanguinamento da varici gastro-esofagee.18 Durata della terapia anticoagulante La decisione sulla durata della terapia anticoagulante non è sempre facile da prendere e deve tener conto di caratteristiche specifiche del paziente e della trombosi stessa. Il tasso di ricanalizzazione è strettamente dipendente dal tempo trascorso dall’insorgenza della trombosi, raggiunge valori massimi (circa il 60% dei pazienti) nei primi 3 mesi e si riduce rapidamente e progressivamente nei mesi successivi.19 Inoltre, la progressione o la ricorrenza della trombosi può svilupparsi, rispettivamente, nel 20% e fino al 60% dei pazienti dopo un periodo di circa 4 mesi dalla sospensione della terapia anticoagulante.19,20 Altri fattori come, ad esempio, il grado di ostruzione, l’estensione e la localizzazione della trombosi (interessamento della vena mesenterica superiore), la presenza di un fattore di rischio trombotico persistente (cirrosi epatica, neoplasia solida o malattia mieloproliferativa cronica) o la necessità di un trapianto epatico possono essere presi inconsiderazione per tale decisione.2-5,8 Una valutazione del rischio trombotico ed emorragico è, pertanto, indispensabile per decidere se interrompere o proseguire il trattamento nel lungo periodo.8 Anche se i dati a disposizione sono molto pochi e derivanti da studi osservazionali, sembrerebbe che la somministrazione di dosi profilattiche di eparina a basso peso molecolare nel lungo periodo siano in grado di garantire un tasso di progressione di trombosi accettabilmente basso nei pazienti con cirrosi epatica e trombosi venosa splancnica.20 Conclusioni La terapia anticoagulante dovrebbe essere considerata per la maggior parte dei pazienti con trombosi venosa splancnica, soprattutto se il rischio trombotico eccede quello emorragico. Il tipo, il dosaggio e la durata della terapia anticoagulante dovrebbero essere individualizzati sulla base delle caratteristiche della trombosi e del paziente stesso. Bibliografia